Lancet ha pubblicato un enorme studio nazionale retrospettivo dell’ISS, su dati individuali di tutti i bambini italiani (aggiustati per fattori individuali e di contesto), di gran lunga il più vasto nell’era di Omicron, con monitoraggio dal 17 gennaio al 13 aprile 2022.
Le conclusioni non sono trionfali, ammettendo che nei 5-11enni la vaccinazione ha efficacia pratica (VE) inferiore rispetto a individui ≥12 anni e che la protezione decresce dopo il completamento del ciclo primario. La VE dichiarata verso l’infezione ha un picco del ~39% tra 0 e 14 giorni dal completamento, per scendere al 21%~ tra 43 e 84 giorni (2 mesi e ½). La protezione dichiarata verso la COVID grave è del ~41%.
Anche questi modesti risultati, però, sovrastimano quelli reali.
Non ci riferiamo ai fragili argomenti proposti dall’ISS per vaccinare i bambini “nel loro interesse, prevenendo la COVID-19 grave e persistente”. Fragili perché, in paesi ad alto reddito, Omicron dà solo eccezionalmente forme gravi nei bambini; anche la MIS-C è 13-14 volte meno frequente rispetto ai già rari casi associati a Delta e Alfa, con 3,8 casi per 100.000 persone, e meno gravi (ricoveri piuttosto brevi, poco o nessun uso di vasopressori e ventilazione meccanica, almeno in Israele). Inoltre, il Long-COVID infantile è in gran parte una forzatura, se misurato nell’unica revisione sistematica con gruppi di controllo, che mostra solo per 5 sintomi (su fino a 101 descritti) eccessi significativi ma di entità molto modesta (max perdita di olfatto: +8%, fino a mal di gola +2% e dolore oculare +2%), a differenza delle prevalenze “gonfiate” riportate in studi senza gruppi di controllo appropriati.
Anche quanto l’ISS dichiara sul fatto che “Ben pochi pazienti sono stati ricoverati in terapia intensiva… tutti non vaccinati” non è più vero, dato che nei Bollettini ISS delle ultime tre settimane i bambini 5-11enni vaccinati sono finiti in terapia intensiva in proporzione due volte più dei non vaccinati (benché, con numeri così piccoli, potrebbe trattarsi di un caso).
Ci riferiamo invece al presunto “beneficio per la popolazione generale, riducendo la trasmissione di SARS-CoV-2 ad altri gruppi d’età”.
Esaminiamo infatti i dati settimanali, pubblicati da mesi proprio nei Report estesi ISS, consultabili anche dai Comunicati Stampa GIMBE. Elaborazioni comparative dei dati mostrano che, dalla settimana del 23 marzo (Tabella 7A, in seguito 4A), le percentuali di infezioni nei bambini italiani vaccinati con due dosi hanno superato costantemente quelle dei non vaccinati, fino al Bollettino del 22 giugno compreso.
Pensiamo che le differenze con la pubblicazione ISS su Lancet si spieghino così:
- quanto la Commissione Medico-Scientifica indipendente (CMSi) riporta da mesi si basa sui dati (ISS, AGENAS, Comunicati GIMBE con relativi istogrammi) che partono dal Bollettino ISS del 16 marzo, e mostravano già la negativizzazione della VE sull’infezione dalla settimana successiva, del 23 marzo. L’efficacia negativa nei bivaccinati è proseguita fino al Bollettino del 22 giugno, pur attenuandosi per i motivi discussi al punto 3. Invece l’ISS su Lancet parte con il follow-up dal 17 gennaio, con i primi bambini vaccinati con 2 dosi (dati non resi pubblici sulle fonti che consultiamo), monitorati nel periodo di “luna di miele” con il vaccino, delle prime settimane/mesi, e interrompe il follow-up il 13 aprile, cioè poco dopo l’inizio della negativizzazione (iniziata dai Bollettini 23 marzo, 30 marzo, 6 aprile…)
- l’ISS non dichiara tale inizio di negativizzazione, e mantiene la pratica abituale di presentare “medie pesate di periodo”, anziché gli andamenti settimanali (progressivi), che renderebbero la tendenza più chiara. Si veda infatti la retta in lieve discesa con cui l’ISS unisce nella Fig. 3 i giorni dal 43 all’84 (perché non dettagliare periodi quattordicinali, come aveva fatto fino a quel momento?), che non fa rilevare che dal 23 marzo alla fine del follow-up su Lancet gli stessi dati ISS mostravano già VE negativa nei bambini.
- Per finire, pensiamo che la progressiva attenuazione della VE negativa nei bambini 5-11enni che si nota nelle ultime settimane fino al Bollettino del 28 giugno sia dovuta a un artefatto, clamorosamente evidente nella Tab. 4A dell’ultimo Bollettino pubblicato. La suddetta Tabella 4A mostra un fatto “miracoloso”, controintuitivo e inverosimile: nella colonna, di recente comparsa, dei ben 436.226 bambini 5-11enni con oltre 4 mesi (>120 gg) dalla 2a dose di vaccino, non si sarebbe registrata alcuna diagnosi di COVID-19!
Se questi dati miracolosi (zero diagnosi, con le varianti B.2, B.4 e B.5, su quasi 440 mila bambini!) si sommano alle diagnosi dei vaccinati da ≤120 gg (che in teoria dovrebbero essere più protetti, anche alla luce dello studio ISS su Lancet, mentre, questi sì, continuano a infettarsi più dei non vaccinati…), la media delle diagnosi sui vaccinati si abbassa, e proprio ora torna a incrociare i livelli dei non vaccinati.
Pensiamo alla spiegazione più probabile: i bivaccinati da più di 4 mesi… si sono semplicemente fatti una Omicron, ricavandone una protezione robusta e più duratura di quella di una 3a dose di vaccino.
Domanda: perché questa infezione non verrebbe registrata? Pensiamo per almeno tre motivi:
- moltissime Omicron sono asintomatiche, e il residuo di protezione anticorpale da ciclo vaccinale di base può rendere ancor più probabile per questi bambini contrarla in forma asintomatica
- Per quanto al punto 1), anche chi sviluppa sintomi ne ha in genere pochi, e le famiglie – convinte di aver protetto i bambini con le due dosi – non pensano alla COVID-19, ma a banali malattie respiratorie
- Alcuni bambini, con sintomi più marcati, fan venire dubbi. Il sospetto è che in questi casi la famiglia possa effettuare qualche tampone casalingo, che potrebbe risultare positivo. Ma a quel punto non avrebbe incentivi a dichiarare la positività, affrontando quarantene, rinvio di vacanze programmate, ecc., e potrebbe pensare: “ho fatto tutto il possibile, le due vaccinazioni richieste! A questo punto, anche se l’ha presa, il bambino non sarà contagioso, o lo sarà molto meno…”. E può non dichiararlo.
Invece, in molte famiglie di bambini non vaccinati (chi non li ha vaccinati finora è perché non vuole), può prevalere l’incentivo opposto. Hanno infatti più convenienze a dichiarare l’infezione, ottenendo così qualche mese senza lo stress di dover difendere i figli da spinte del sistema sanitario e sociale a farli vaccinare.
Per finire, la negativizzazione della VE rispetto all’infezione, evidentissima in Inghilterra nel trend dalla settimana 36/2021 alla 13/2022 (ultima pubblicazione di quei dati), anche in Italia non si limita ai bambini, ma si sta presentando anche in altre classi d’età. Ad esempio, ecco la situazione dei 40-59enni nei dati ISS.
In questi adulti si sta assistendo a un declino anche della protezione rispetto ai ricoveri, come mostra l’evoluzione dei rischi relativi di ricovero ricavabile dalla sequenza delle Tabelle 5 dei Bollettini ISS.
(NB: è comunque in atto in varia misura anche in altre classi di età una progressiva erosione dei vantaggi iniziali, rispetto alle forme di COVID-19 grave, benché tali specifici vantaggi siano tuttora presenti).
Per la CMSi:
Dott. Alberto Donzelli, Prof. Marco Cosentino, Prof. Giovanni Frajese, Dott.ssa Patrizia Gentilini, Prof. Eduardo Missoni, Dott. Eugenio Serravalle